La vita di Erostrato by Alessandro Verri

La vita di Erostrato by Alessandro Verri

autore:Alessandro Verri [Verri, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9781480211629
Google: SldxvgAACAAJ
editore: Aurora Boreale
pubblicato: 2012-10-29T17:25:15+00:00


CAPITOLO VII

PIANTO FUNEREO

Niuno chieda ch’io narri compiutamente quant’erano percossi gli animi de’ genitori, perocché non si può descrivere un’estrema costernazione. Testoride avea perduto il solo conforto della sua età, e vedea spenta la sua stirpe. Rimanea la sua mensa priva di figliuoli, di consorte, e sé chiamava il più misero di tutti, siccome il primo a sofferire la vita e l’ultimo a lasciarla. Ma in ciò miserrimo, che non già per gradi gli era sopravvenuta così grave sciagura, anzi con subita mutazione dalla allegrezza al dolore profondo. Egli pertanto chiuso nelle sue stanze ricusava gli amichevoli conforti, di niun altro capace, fuorché d’immergersi nel silenzio e nella solitudine quasi in pelago di lutto. I servi suoi in questo mentre correggevano gli oltraggi della tempesta nelle membra della disanimata vergine con lavande fragranti ed aromi preziosi, avvolgendola in monde e delicate vesti e componendole i capelli con serto di fiori. E quando fu notte, si avviarono con pompa lugubre taciti e lagrimosi alla domestica tomba. Lo splendore delle faci illuminava il feretro. Un coro di tibie con flebili note richiamava il pianto sulle ciglia. Non più che uno stadio remoti dalla città erano gli avelli in edifizio marmoreo, fra cipressi maestosi, la mole del quale si vedea ornata nel circuito dalle immagini de’ trapassati, nella cui sommità dominava il simulacro del Tempo in atto di muovere la falce distruggitrice. Una porta ferrea stridendo si aprì e diede accesso allo interno. Ivi in sotterranea cavità erano le tombe. Altre con antica semplicità, senza ornamenti, in modeste parole rammentavano i meriti del defunto; altre con elegante scoltura e con fastose ricordanze mostravano quanto le ossa ivi chiuse fossero desiderose di eterna fama. In avello nuovo fu deposta la fanciulla al mesto canto di morte. Le sue ancelle spargeano fiori sovr’esso, e rammentavano, lagrimando, la sua bellezza, i dolci suoi costumi, l’amabil voce, la sua pietà verso gli Dei, e quanto le era stato funesto il giorno nuziale. La moltitudine concorsa invocava in preci sommesse gli Dei sotterranei ad accogliere pietosi quello spirito, e gli concedessero quella pace nell’Eliso, la quale gli aveano negata in questa vita gli abitatori del cielo. Si chiusero per fine le porte, e fu disciolta l’adunanza.

Mentre si compievano questi riti, Agarista, insufficiente a confortare se stessa, era costretta frenare gl’impeti del figliuolo. Il quale poiché lungamente quasi marmoreo simulacro di sé, immobile, muto, avea gli occhi dimessi, trapassando alle smanie, percuoteva il petto e i fianchi, oltraggiava le belle chiome, squarciava le vesti, prorompea in grida, e trascorrendo per le stanze vi spandea il lutto, lo spavento e la commiserazione. Già le pupille oscurate dal dolore odiavano la luce. Fuggiva da loro il sonno, non più vi sgorgava il pianto; già n’era esausta la fonte nel cuore impietrato. Mirava sovente i lini delicati, i veli, le armille, le collane preziose, le ornate vesti preparate alla sposa, e sospirando le baciava. Veggendo poi il talamo deserto non mai intiepidito da Imene, cadeva su quelle piume abbattuto, invocando la compagna per sempre disgiunta.



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